Questo è un racconto di quella giornata che scrissi per un altro sito ben 15 anni fa, in occasione del 20° anniversario, quindi copio e incollo semplicemente, con gli eventuali errori di allora.
Heysel 35 Anni Dopo, Io C'ero
Il 29 maggio di 35 anni fa, io ero là, allo stadio Heysel di Bruxelles, per la finale di Coppa Campioni fra Juventus e Liverpool.
Ma quella data non viene purtroppo ricordata per l'evento sportivo, bensì per quello che successe, per quelle 39 persone che persero la vita quando invece erano li, da tifosi juventini, per assistere forse alla più grande festa della loro vita sportiva.
La Coppa Maledetta - La Strage dell'Heysel - La Signora in Nero - Ecco cos'è rimasto di quella data.
E io, come già detto, c'ero, allora 17enne. Già da alcuni anni, molto precocemente, seguivo le partite allo stadio, a Torino e in trasferta per l'Italia. Avevo già assistito a competizioni Europee, naturalmente in quel del vecchio Comunale di Torino, ma quella sarebbe stata la mia prima partita vista fuori dall'Italia e soprattutto la prima finale. Il popolo juventino era nuovamente in festa, dopo la bruciante sconfitta subita da favoritissimi 2 anni prima, ad Atene, ad opera dell'Amburgo. E io volevo essere lì a tutti i costi, perché conscio che quella sarebbe stata la nostra prima Coppa dei Campioni, perché già pochi mesi prima avevamo affrontato il Liverpool per la Supercoppa Europea (vincendo). Ma volevo essere lì anche perché il Liverpool, quella temibilissima armata rossa, aveva rappresentato la mia prima passione calcistica.
E allora sì, la decisione è presa, io andrò a Bruxelles accompagnato dalla mia famiglia che ne approfitterà per farsi una bella vacanza. Con me partiranno mio padre, ai tempi 50enne, che aveva visto prima di allora una sola partita (della Nazionale) 30 anni prima. E poi mia madre, mio fratello e la sua fidanzata, tutti alla loro prima esperienza all'interno di uno stadio e tutti con un interesse del calcio pari a zero. Ma sarebbe stata una bella vacanza di 3 giorni in quel di Bruxelles, una bella riunione di famiglia come da tempo non accadeva.
Ed in effetti così è stato. Visitiamo Germania e Belgio, assaporiamo cibi diversi, ammiriamo la diversa architettura e la diversa cultura. Tutto è perfetto, e da lì a poco ci sarà anche la partita per rendere completa la festa.
E ci siamo, arriva il 29 maggio. Usciamo dall'albergo di buon'ora, visitiamo prima la struttura dell'Atomo piena di scale mobili e vetrate, poi ci avviamo in zona stadio. E' una bellissima giornata, il sole splende sereno e la temperatura è discretamente alta. Nelle numerose piazze di Bruxelles è tutto uno sventolio di bandiere e sciarpe, ora bianconere juventine, ora rosso fuoco del Liverpool. I famosi canti dei tifosi inglesi riecheggiano nelle strade di Bruxelles e il tutto ti riavvicina all'evento sportivo cancellando pian piano la vacanza. Inglesi e italiani sono "impunemente" liberi di frequentarsi, ma l'aria è davvero cordiale, con risate, scherzi, scambi di sciarpe e reciproco rispetto a tener banco. E' una meravigliosa festa sportiva.
E arriva così il momento di avvicinarsi allo stadio, verso le 16, con migliaia di tifosi accalcati in paziente attesa dell'apertura dei cancelli della curva riservata agli juventini (opposta al settore Z dove avverrà in seguito la tragedia). Il primo sintomo di irritazione avviene proprio in quei momenti. Sono ore che aspettiamo sotto il sole che quei benedetti cancelli si aprano. Ma questo non è un eccessivo problema, se non fosse per la polizia belga. Sì, la polizia belga, una polizia che pensò bene di non rinunciare al loro pittoresco aspetto, presentandosi - in mezzo a MIGLIAIA di persone - a cavallo... E questi cavalli erano in mezzo a noi, ovviamente irritati da tanto chiasso e tante persone. Quindi cavalli che sbuffano e scalciano, provocando ondate di movimento da parte dei tifosi per scansarsi, senza contare gli escrementi lasciati per terra, sui quali dovevamo praticamente camminare sopra.
Si fa ancora più sera e, poco distante, c'è un chiosco che vende bibite, panini e hot dog. I miei genitori hanno fame e vogliono fare di quel chiosco la loro meta. Ma io no. Allora tifoso più che mai, il clima da stadio, la tensione e non ultimo alcuni amici torinesi che avevo incontrato, mi fecero desistere dall'hot dog. Ovvie le raccomandazioni dei miei: "Non ti muovere da qui, mi raccomando, non fare scherzi". E ci sarebbe mancato altro, ma...
Dovete sapere che lo stadio Heysel è (era?) incavato nel terreno, quindi la superficie di gioco si trova alcuni metri sotto il livello stradale. Di conseguenza le mura erano molto basse, tanto che un paio di persone, l'una sulle spalle dell'altra e un po atletiche, potevano scavalcare facilmente. E così fu. E le notizie di quelli che scavalcavano dettero conferma di voci che si stavano rincorrendo da un po' di tempo, ovvero che i tifosi inglesi erano già entrati e comodamente seduti. E scoppiò il caos.
I tifosi juventini, irritati dal caldo, dai cavalli, da quelle notizie e dall'inspiegabile ritardo nell'apertura dei cancelli, iniziarono una "sommossa". Nel giro di pochi minuti i fatiscenti portoni di LEGNO (!!!) dello stadio cedettero alla spinta della folla e tutti iniziarono ad entrare. Un po' spinto dalla gente alle spalle, un po' spinto dall'incoscienza di allora, pensai un attimo ai miei che si stavano gustando l'hot dog a poche centinaia di metri. Ed entrai.
Mi procurai un ottimo posto, centrale e basso, proprio dietro la porta, accomodandomi su quegli scalini fatti di pietra e mattoni come la maggior parte degli stadi di 20 anni fa. Cercai più volte con lo sguardo i miei genitori, perché capii che per loro non doveva senz'altro essere la situazione migliore. Ma c'erano tante, troppe teste per poterli individuare. In fin dei conti si sarebbe trattato di poche ore e poi, di ritorno al bus che ci avrebbe riportato all'albergo, avremmo festeggiato assieme la vittoria.
La curva opposta, quella riservata ai tifosi inglesi, era un'immensa marea rossa. I canti tornarono a riecheggiare dentro lo stadio, questa volta più forti che mai e la festa continuò, bellissima più che mai. Venne proposta una partitella fra ragazzini, casualmente indossavano tenute bianche e nere da una parte e rosse dall'altra. Ovviamente gli juventini parteggiavano per quelli in maglia bianca, viceversa i tifosi del Liverpool per i ragazzi in maglia rossa. Il clima era festosissimo, ma fu proprio allora che, un razzo, partì dal settore riservato agli inglesi per giungere in quello riservato ai tifosi italiani.
NOTA: i tifosi italiani erano in numero nettamente superiore. Per questo venne deciso che, la curva opposta alla nostra, fosse divisa in due e separata da una semplice doppia rete metallica (rete per polli la definì qualcuno), in maniera da accogliere gli spettatori italiani in eccesso. In quella zona (in particolare il settore Z), che non sarebbe MAI dovuta esistere, risiedeva la presenza del maggior numero di famiglie; il tifo organizzato, i tifosi "veri", erano dalla parte opposta, quella in cui ero anche io.
L'arrivo di quel razzo nel settore juventino provocò uno spostamento di massa per allontanarsi dai tifosi inglesi. Ma lì sembrò finire. Gli italiani invece pensarono bene di riavvicinarsi per inveire contro gli inglesi, scagliandosi contro le reti che li dividevano. Ma non avevano fatto i conti con gli Hooligans... I tifosi inglesi si scagliarono a loro volta contro le reti, reti che ben presto cedettero. Le due tifoserie o meglio, gli Hooligans e le famiglie italiane, vennero a contatto. Queste non poterono far altro che fuggire di fronte alla furia degli inglesi, accalcandosi verso il muretto inferiore dello stadio, schiacciando e soffocando coloro che già si trovavano verso il basso.
Vorrei sottolineare la fatiscenza di quello stadio dove, battendo fortemente il tacco della scarpa sui gradoni, si staccavano pezzi di pietre e mattoni. Ideale per una finale di così grande importanza...
Il muretto si sgretolò sotto la spinta e la paura delle migliaia di persone che spingevano per sfuggire dalla carica degli Hooligans. Ma noi, situati dall'altra parte dello stadio, di questo non ci rendevamo perfettamente conto. Vedevamo solo il fuggi fuggi generale, la curva opposta che improvvisamente si svuotava, poi la gente che si riversava sul campo da gioco. Ma neanche per un attimo avemmo l'impressione che il muretto avesse ceduto e che addirittura ci fossero dei morti. Non l'abbiamo mai saputo quella notte. Noi vedevamo solo quanto già detto, ma vedevamo anche che la polizia non interveniva se non con pochi, pochissimi elementi, peraltro inutilmente a cavallo e in mezzo al campo. I rinforzi non arrivavano, tardarono un'ora e quando arrivarono erano più impegnati a trattenere i tifosi juventini dalla nostra parte che stavano per sfondare le reti protettive per scagliarsi contro gli inglesi. E onestamente, giunti a quel punto, fecero bene. Perché dall'altra parte oramai la tragedia era avvenuta, ma se anche noi avessimo divelto completamente le protezioni, la tragedia avrebbe assunto dimensioni più grandi.
Tutto quello che successe durante e dopo lo sapete, è storia. Triste storia.
La partita si svolse "regolarmente" e terminò a notte fonda. Venimmo trattenuti a lungo dentro lo stadio, in maniera da non farci scontrare con gli Hooligans inglesi. Io, ignaro della tragedia, uscii dallo stadio felice per la vittoria. Avevo 17 anni da poco compiuti e per le vie di Bruxelles mi avventurai da solo in cerca dell'autobus e dei miei genitori che non vedevo da 7 ore. Proprio mentre stavo per raggiungere l'autobus, sento delle grida urlare a squarciagola il mio nome. Erano i miei. Mi volto e vedo mio fratello (allora 24enne e milanista) corrermi incontro tutto felice. Ci abbracciamo e saltelliamo, io grido: "CAMPIONI!!!", mentre mia madre e mia cognata piangono.
La famiglia si riunisce, mentre nel frattempo una coppia di ragazzi inglesi viene fatta salire sul nostro autobus per scampare al linciaggio. Ma chissenefrega, tutto sommato è stata una gran festa con un incidente di percorso come ne capitano tanti. Poi l'albergo, la tv, le immagini ravvicinate, il racconto di quello che è stato dall'altra parte dello stadio. Tutt'altro che una festa.
Ma noi non sapevamo, io non sapevo. Ma qualcuno sì.
Quando mio padre, dall'interno dello stadio, vide il caos che stava succedendo dall'altra parte, si preoccupò che io non fossi dove dovevo essere. Era illogico certo, ma era illogico anche che io fossi entrato da solo, era illogico che avessero sfondato i cancelli per entrare, era illogico che non ci fosse la polizia. Tante cose erano illogiche. Così lui uscì dallo stadio e mi venne a cercare. Andò dall'altra parte e vide la disperazione di gente che fuggiva. Vide feriti lievi e cercò informazioni. Si addentrò ancora di più e seppe tutto, ma soprattutto vide tutto, vide le vittime. Io non ero lì, ma lui non lo poteva sapere. Potè solo tornare indietro, nello stadio, dal resto della famiglia e guardarsi la partita, con la speranza che fossi abbastanza adulto da cavamela da solo.
"CAMPIONI!" - urlai ritrovando la mia famiglia. Ma 39 altre persone, la loro famiglia non l'hanno mai più vista...
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